lunedì 10 dicembre 2012

diventare VEGetariANO è un percorso

  Non mi ricordo il momento esatto in cui ho cominciato a capire qualcosa: eppure deve esserci stato perchè c’è sempre un inizio nelle cose. O forse iniziano dove c’è già qualcosa, e ti accorgi che esistono quando sono già grandi? Forse è stato da bambino, quando dovevo mangiare il bollito, con quei nervetti che sentivo viscidi sotto i denti, quella pelle spessa, dura, biancastra che si sfilacciava elastica, a fatica, sotto il coltello: tanto quanto la polpa, ma allora si doveva mangiare tutto e gli avanzi non andavano bene. Chissà perchè ai cuccioli d’uomo raramente piace la carne, mentre se invece la dai a un gattino ne va matto? Poi al bollito, come a tutte le cose, ti abitui e diventi una persona normale.
La prima volta che ho sentito la parola “vegetariano” ho pensato a un piatto di verdure, oltretutto crude, chissà perchè. Vegetariano però vuol dire niente carne, che è già una cosa più seria; parecchio più seria a pensarci bene. Niente carne è una cosa enorme: la carne c’è dappertutto e mica solo in cucina: c’è nella letteratura, nel cinema, nella pittura, nel quotidiano di ciascuno, davvero dappertutto e da sempre. Ma come si fa a dire “niente carne”? Certo che io non ammazzerei mai una gallina ma il petto di pollo sì, quello lo mangiavo, come pure il prosciutto, l’arrosto e il tonno in scatola. La mia gallina no, le altre si; il mio gatto (proprio) no, ma in Cina si, li mangiano. Bhè, cominciavo a pensarci, cominciavo a pensare che fosse un fatto di cultura, e mica da poco. Che bella contraddizione stava venendo fuori! Sapere e sentire. Lo sappiamo tutti che il pollo del supermercato non è un derivato del petrolio e che prima di finire in padella doveva essere una gallina viva. Lo sappiamo e lo consideriamo “normale”, inevitabile, necessario e immutabile. Lo sappiamo ma non lo “sentiamo”. Non e’ piacevole, sedersi a tavola e guardare un cadavere nel piatto; meglio, molto meglio vederci una bistecca: e basta. Se non sbaglio, in termini psichiatrici si tratta di rimozione. Grosso modo quel meccanismo difensivo che il nostro cervello mette in atto per nascondere le esperienze traumatiche e le questioni irrisolvibili. In termini volgari è il nascondere la sporcizia sotto il tappeto, girare la testa da un’altra parte, non guardare e vivere felici. Ed è quello che ti chiedono tutti, dai genitori, agli amici, alle mogli... tutti, ti dicono di vivere felice, anche se nessuno ti sa spiegare come fare. Sapevo poco degli allevamenti intensivi, e dei macelli, ricordavo solo una fugace rassicurazione di mio padre da bambino. Non avevo ancora letto nulla di queste cose, ma non ci voleva molta fantasia ad immaginare quale potesse essere la vita, e la morte di quei poveri animali. Intanto la questione vegetariana era diventata tale e non era più un piatto di verdure crude. Ci ho girato attorno ancora un bel pò con la “ragione” eludendo la questione fondamentale: le urla, l’odore del sangue caldo, gli occhi vitrei, terrorizzati del maiale sgozzato non passavano ancora dalla barriera del mio cervello. Ragionavo in termini di compatibilità, di riduzione del danno. Mangiare carne una volta la settimana era meglio che mangiarla ogni giorno a pranzo e a cena (ed è verissimo); ma era ancora una mediazione dall’esterno: stavo nel mondo dei normali, ascoltavo e riconoscevo queste altre ragioni come meritevoli di attenzione. Punto. Il tarlo però lavorava e la carne la compravo solo per quegli incorreggibili carnivori con cui convivevo. Vegetariano a casa e da solo si, ma a cena fuori no. Sarebbe stato necessario spiegare una storia troppo lunga, e poi chissà come ti avrebbero guardato! Ricordo che una volta, messo alle strette, sono quasi arrossito nel confessare il “grande oltraggio”. Così sono stato un veg clandestino per diversi anni. Dovevo convincermi fino in fondo, saper rispondere ai mille perchè, dovevo accettare il fatto che non tutti avrebbero capito (come in effetti è stato); dovevo convincermi, fino in fondo, e non solo a parole. Guardi la città in lontananza con tutte le sue luci, le macchine che corrono, il cielo già scuro solcato di nubi venate di porpora e violetto; pensi alla gente che si diverte, ai ragazzi che fanno l’amore, che cantano nelle birrerie, che vanno al cinema, che discutono e ridono... In fondo il nostro mondo è bello, e pensare che è costruito sul quotidiano massacro di milioni di creature come te, che come te provano felicità e come te soffrono e hanno paura; creature come quel saccotto di pelo che ti fa le fusa sulle ginocchia, è troppo difficile da accettare e sopportare. E poi a un tratto, nulla è più uguale a prima, la tua brava scala dei valori la ritrovi completamente sballata, capisci che quel “nostro mondo” è uno schifo immensamente più grande di quanto avessi mai potuto immaginare, che quel “nostro mondo” non è più il “tuo” mondo. Capisci che di giusto non c’è niente che si fondi sul dolore e sulla sofferenza, che non c’è buona causa che giustifichi un crimine: mai. Com’era semplice in fondo, bastava ascoltare il proprio cuore, e non le parole degli uomini. E a un tratto finalmente sei libero, ti trovi fuori dalla bolla opaca della normalità, hai occhi e orecchie per ascoltare e per guardare, e mani e testa per fare. Per ascoltare il rumore del vento e il lamento di un cucciolo, per guardare milioni di occhi che non avevi mai guardato prima. Sei libero perchè non sei più complice. Sei libero e forse solo, ma potrai abbracciare finalmente il te stesso, cui hai aperto la porta della gabbia in cui era rinchiuso; potrai abbracciare un animale senza dovergli nascondere di avergli mangiato il fratello.
"Valter Fior" tratto da "olocausto animale"

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